Il 23-24 maggio a Malta si è tenuto un evento organizzato dal Nautical Institute al fine di coinvolgere vari esperti o professionisti del settore marittimo e migliorare le operazioni in mare. Fra gli argomenti all’ordine del giorno, c’erano principalmente le buone pratiche per gli operatori marittimi che devono confrontarsi coi rifugiati e le modalità con cui aumentare l’attuale livello di automazione. Particolare attenzione è stata data, infatti, alla tecnologia e al ruolo positivo che essa può svolgere nell’ambito SAR e col fine ultimo di salvare il maggior numero possibile di vite umane. MOAS dal suo esordio ha voluto investire su un uso positivo della tecnologia, impiegando i droni S-100 Camcopter della Schiebel che solitamente vengono usati a scopo militare, ma che nel nostro caso hanno espanso l’area SAR di svariate migliaia, consentendoci di avere una visione chiara della situazione in mare per informare la Guardia Costiera Italiana e velocizzare i tempi di soccorso.

Proprio quei droni da agosto 2014 ad aprile 2017 -quando li abbiamo sostituiti con un velivolo per il pattugliamento marino dotato della stessa tecnologia- ci hanno aiutati ad espandere per miglia la nostra visibilità e reso possibile effettuare salvataggi di imbarcazioni che altrimenti avrebbero potuto affondare in silenzio.

Mi ha molto colpita la presentazione dell’avvocato marittimo Ann Fenech, rappresentante dello studio legale Fenech & Fenech, che ha affrontato l’innovativo tema dell’automazione dei vascelli da un punto di vista legale per comprendere sfide e fattibilità di una totale o parziale automazione delle imbarcazioni in mare. Riflettendo su questo tema, mi sono chiesta: cosa succederebbe se queste navi senza equipaggio o capitano a bordo incontrassero sulla loro rotta imbarcazioni con migranti e rifugiati in pericolo. Cosa succederebbe se il radar non riuscisse a intercettarle in tempo, come nel caso dei gommoni che sono spesso invisibili per le apparecchiature a bordo? Carl Hunter (AFNI, CEO, Coltraco Ultrasonics), che presiedeva la prima sessione ha risposto sottolineando come di fatto l’automazione sia ancora un processo in fieri proprio perché ci sono molti aspetti oscuri che dovranno essere approfonditi e migliorati. Più volte è stata citata la Convenzione Internazionale per la Salvaguardia della Vita Umana in Mare (SOLAS).

La sessione pomeridiana, invece, si concentrava maggiormente sulla questione dei migranti e rifugiati stipati su imbarcazioni insicure che viaggiano lungo la rotta di altre navi mercantili. Il focus principale sono state le assicurazioni e la liability di queste ultime qualora si imbattessero in  gommoni o barconi in pericolo, oltre al caso in cui sono gli stessi migranti ad arrampicarsi alle navi col rischio di non essere nemmeno  notati dall’equipaggio. Occorre sottolineare che prima che MOAS scendesse in campo, molti salvataggi – sotto richiesta o coordinamento della Guardia Costiera Italiana- venivano effettuati proprio dalle navi mercantili che però non sono adatte a questo compito da un punto di vista strutturale e di preparazione dell’equipaggio. Oggi un ruolo essenziale lo svolge l’Operazione Sophia di EUNAV FOR MED che però sta a 40 miglia dalla costa tanto che spesso non viene coinvolta nelle operazioni di salvataggio. Il punto cruciale, a mio avviso, è che l’attenzione è concentrata sulla difesa delle frontiere piuttosto che sul salvataggio incondizionato delle persone in pericolo.

Peter Hinchliffe (OBE FNI, Secretary General International Chamber of Shipping) ha poi illustrato un video in cui vengono esposte le migliori pratiche da adottare in caso di evento SAR per una nave commerciale al fine di migliorarne il modo di reagire. Tuttavia, ben vengano i tentativi di rendere più efficace l’eventuale intervento di un mercantile, ma il vero obiettivo dovrebbe essere quello di salvare vite umane e azzerare il bilancio dei morti lungo la rotta migratoria più pericolosa al mondo. Proprio il Mar Mediterraneo è la porta di un’Europa che non si riconosce più nei suoi valori fondanti, ma è proprio da lì che dovremmo ripartire.

Grazie alle parole dell’Ammiraglio Enrico Credendino, si è parlato di Libia e di come la Guardia Costiera Libica sia più attiva in mare. Inoltre, presso alcuni porti di sbarco dove vengono riportati i migranti a bordo delle imbarcazioni intercettate e scortate dalla Guardia Costiera Libica si è consolidata la presenza di OIM e UNHCR che da un lato mitiga la sofferenza di chi viene riportato indietro, ma dall’altro avalla la situazione che si è creata. Personalmente, non ritengo accettabile nel rispetto della dignità e dei diritti umani che la Libia venga considerata un porto sicuro dal momento che i racconti dei sopravvissuti sbarcati in Italia sono di una violenza inaudita e visto che il Paese non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra che norma lo status di rifugiato.

A conclusione della giornata, in quanto rappresentate MOAS, ho cercato di dar voce alle migliaia di persone che in tre anni di missioni in mare abbiamo salvato ed assistito, impedendo che il bilancio dei decessi lungo il Mediterraneo Centrale e l’Egeo aumentasse. Contemporaneamente, ho spiegato obiettivi e risultati della nostra ultima missione di osservazione nel Mare delle Andamane dove abbiamo cercato di comprendere le esigenze SAR dell’area e spiegato in che modo stiamo aiutando la comunità Rohingya in Bangladesh. Proprio in questo paese dallo scorso ottobre -un mese dopo dal nostro arrivo sul campo- abbiamo aperto due centri medici detti Aid Station che in soli sei mesi hanno assistito oltre 60 mila bambini, donne e uomini.

Spero che questo incontro rappresenti per tutti i presenti un punto di partenza per future e nuove collaborazioni. Dialogo, comprensione reciproca e collaborazione per tutelare i più vulnerabili sono i soli mezzi che ci possono consentire di uscire da quella che definiamo “crisi umanitaria”, ma che si rivela sempre più una crisi di umanità.