“Tutta l’Europa sta diventando pian piano un unico, grande campo di prigionia. Tutta l’Europa finirà per disporre di simili, amare esperienze.
Mi domando del resto chi rimarrà fuori dai campi, dato che la storia insiste a ripercorrere gli stessi sentieri “ Etty Hillesum

Ho voluto iniziare citando Etty Hillesum, una donna olandese morta nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1942.

Oggi conosciuta come una grandissima scrittrice e mistica olandese, è morta perché era ebrea e a quel tempo il regime nazista -nel silenzio della comunità internazionale- aveva deciso che gli ebrei non erano degni della vita.

I suoi diari e le sue lettere toccano i nostri cuori e ci fanno aprire gli occhi su una delle vicende più amare e dolorose dell’intera storia umana.
Ma purtroppo non si limitano a questo perché tracciano una fotografia terribilmente fedele alla realtà odierna. Il moltiplicarsi dei muri e delle barriere anti-migranti rischia di sgretolare l’Europa e il suo progetto di solidarietà condivisa.

Nel 2014 mio marito Christopher ed io abbiamo deciso di non essere più spettatori del fenomeno migratorio, ma di agire. Nell’estate 2013 Papa Francesco scelse di visitare Lampedusa per il suo primo viaggio ufficiale e pronunciò il famoso monito contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, richiamando l’intera comunità cristiana a non rimanere indifferente di fronte al dolore di chi moriva in mare alla ricerca di una vita migliore.

A questo appello, che aveva già fatto breccia nei nostri cuori, si aggiunse la tragedia di Lampedusa nell’ottobre 2013 in cui persero la vita 368 persone annegando di fronte all’Isola dei Conigli, nota meta turistica.

Mi colpirono le immagini dei corpi riversi sulla sabbia immacolata. Così abbiamo deciso di fare la nostra parte credendo che: “Nessuno Meriti di Morire in Mare”.

Le persone stavano morendo in mare, quindi ci serviva una imbarcazione che si adattasse alla nostra missione di ricerca, soccorso e post-soccorso.
Dopo aver ispezionato diverse navi, in Virginia abbiamo trovato Phoenix.

Una imbarcazione di 40m che abbiamo equipaggiato con due gommoni, giubbotti di salvataggio, coperte, acqua e una clinica per il primo soccorso dotata di medicine ed il necessario per fornire le prime cure.

Ma il nostro vero punto di forza è stata la costruzione di una piattaforma polivalente usata per il lancio dei droni che sono gli occhi del MOAS e per ospitare i migranti tratti in salvo. Da Novembre 2015 alla nave Phoenix si è aggiunta la Responder.

Christopher ed io eravamo perfettamente consapevoli di non avere la soluzione del fenomeno migratorio.
Ma, come imprenditori avevamo:

il know-how, l’esperienza nell’assistenza e nelle emergenze assicurative da mettere al servizio per salvare vite umane.

Volevamo spostare l’attenzione dei media e delle organizzazioni umanitarie dai porti al mare dove le persone morivano annegando nella più profonda disperazione. E volevamo fornire un esempio valido per altri.

Dal primo evento SAR all’ultimo avvenuto lo scorso dicembre il team MOAS ha salvato oltre 33mila vite. Ad oggi il nostro esempio è stato seguito da molte altre organizzazioni che pattugliano il Mediterraneo.

MOAS è la dimostrazione che tutti noi possiamo dare il nostro contributo con esempi di solidarietà e misericordia salvando chi rischia la vita alla ricerca della felicità.

Stando agli ultimi dati OIM, circa 5000 persone hanno perso la vita mentre tentavano di raggiungere le coste italiane. E questo nonostante il continuo lavoro di chi si dedica alla ricerca e al soccorso in mare.

Alla luce di queste enormi perdite, MOAS sta lavorando attivamente insieme ad altre organizzazioni per l’apertura di corridoi umanitari che eliminerebbero le inutili morti in mare e smantellerebbero il business dei trafficanti di morte, ridimensionando il problema della sicurezza legato agli attuali flussi migratori incontrollati.

L’esempio virtuoso che MOAS intende seguire è il modello del corridoio umanitario avviato dalla Comunità di Sant’Egidio insieme a Caritas, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese con il Ministero degli Esteri e degli Interni italiani.

Tale schema consente l’individuazione di gruppi particolarmente vulnerabili di persone che verrebbero fatte arrivare in modo legale, sicuro.

La scelta dei corridoi umanitari ci sembra la più responsabile per una politica lungimirante di integrazione.

L’obiettivo è smettere di guardare ai migranti come un problema, ma come risorse per migliorare il mondo in cui tutti viviamo.

Distanziarci fisicamente ed emotivamente costruendo muri non ci aiuta a risolvere l’attuale crisi migratoria.

Quando la politica tarda a trovare soluzioni a lungo termine gli imprenditori e la società civile devono attivarsi mettendo a disposizione ogni mezzo possibile per salvaguardare la vita umana.

Se non siamo parte della soluzione, rischiamo di diventare parte del problema!

La crisi migratoria attuale è la più grande catastrofe umanitaria dal secondo dopo-guerra. Ognuno di voi può aiutarci sostenendo le nostre attività tramite donazioni o partecipando attivamente alle nostre campagne volte ad aprire corridoi umanitari che forniranno canali legali e sicuri per chi fugge da guerre e persecuzioni.