Il 30 Novembre 2016 ho avuto la grande opportunità di contribuire all’evento TrustWomen organizzato a Londra dalla Thomson Reuters Foundation.

Ho partecipato a un panel che affrontava il tema “Migranti: crisi o nuova normalità?” e ho potuto ascoltare le storie raccontate dagli altri partecipanti: Dr. Joanne Liu (Presidente Internazionale di MSF), Chaker Khazaal, Princess Inyang Okokon, Hillary Margolis.

Per cominciare mi è stato chiesto quale fosse stata l’esperienza che più mi è rimasta impressa dalla creazione di MOAS e così ho potuto presentare il nostro progetto. Il nostro obiettivo principale nel fondare MOAS è stato quello di spostare l’attenzione dei media dalla terraferma al mare. In quel momento storico, infatti, tutti gli occhi erano puntati sui porti dove i migranti arrivavano, ma pochissima attenzione veniva dedicata alla traversata. Ad oggi – dopo 3 stagioni migratorie – abbiamo perfino oltrepassato il nostro obiettivo: non solo siamo riusciti a catalizzare l’attenzione su quel viaggio così pericoloso, ma abbiamo anche fornito un esempio.

Volevamo coinvolgere la società civile e non limitarci ad aspettare una soluzione politica alla questione. Non volevamo rimanere a guardare mentre le persone annegavano in mare e quindi abbiamo agito per colmare questa lacuna. Oggi sono sempre più le organizzazioni che si occupano delle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare e noi siamo fieri di averle ispirate.

MOAS riguarda il diritto alla vita per chi fugge da aree devastate da guerre o conflitti armati.

Ben consapevoli della vulnerabilità di chi salviamo, negli anni abbiamo dedicato una speciale attenzione alle cure post-salvataggio grazie ai nostri partner MSF, Emergency, Croce Rossa Italiana, Croce Rossa Internazionale. Le ferite fisiche sono più semplici da curare e far rimarginare perché visibili. Quelle peggiori non posso essere viste, ma sono nascoste nel cuore e nell’anima.

Negli ultimi 3 anni i droni di MOAS sono stati i nostri occhi e ci hanno consentito di aumentare di molte miglia il nostro raggio d’azione. Inizialmente progettati per scopi militari, sono fondamentali per le attività di ricerca e soccorso. Crediamo fermamente in un uso positivo della tecnologia e non vogliamo smettere di usarli nonostante i costi elevati per farlo, ma piuttosto speriamo di essere di ispirazione per un uso della tecnologia volto a salvare vite umane.

Quando sono a bordo col nostro equipaggio e salviamo 400 persone grazie all’uso dei droni mi chiedo: Qual è il prezzo di una vita umana? Quanto vale un essere umano? Come possiamo paragonare la vita umana ai costi per usare i droni e individuare le imbarcazioni in pericolo? Non possiamo. Non possiamo essere così cinici da assegnare un prezzo alla vita umana.

Richiedenti asilo, rifugiati, migranti economici… Per noi sono solo persone e le persone non meritano di morire in mare mentre scappano alla ricerca di una vita e un futuro migliori.

MOAS è stata anche duramente criticata e noi siamo stati accusati di essere dei trafficanti di esseri umani e di facilitare i loro traffici mortali. La verità è che i migranti sono così disperati che tentano la traversata letale a prescindere che qualcuno li salvi o meno. Per questo motivo siamo felici di aver aumentato la consapevolezza generale su questo tema e di aver motivato la società civile a fare la propria parte. Dobbiamo guardare ogni persona in termini di talento e capacità, non come un problema. Ogni essere umano costituisce un dono unico e -soprattutto dopo essere sopravvissuto al deserto e al viaggio in mare- la motivazione a fare del proprio meglio è altissima. Per questo motivo tutti dobbiamo sostenerli ed accoglierli nel modo migliore. Dobbiamo dar loro la possibilità di integrarsi e dare il proprio contributo alla nostra società condivisa.

Il panel a cui ho preso parte si occupava anche del tema del reinsediamento e della ricollocazione: parole fantastiche ma prassi scadente. L’esperienza con MOAS mi ha dimostrato che tutte le persone salvate sbarcano in Italia -a volte 6000 al giorno- causando enormi problemi per vari motivi. Da un lato l’Accordo di Dublino II -che va emendato al più presto- obbliga le persone a chiedere l’asilo politico dove arrivano. Dall’altro lato, le frontiere ora sono chiuse e le persone sono bloccate senza adeguato supporto.

A tal proposito suggeriamo di agire su piani diversi: migliorare nel lungo periodo le condizioni di vita nei paesi da cui proviene il maggior numero di rifugiati, definire meglio le procedure di ricollocazione e reinsediamento e aprire vie sicure e legali. Tre stagioni migratorie fa -al nostro esordio- non avremmo mai potuto immaginare di essere ancora attivi nel Mediterraneo e che il 2016 sarebbe stato l’anno più letale fino ad oggi. Alla fine di Novembre oltre 4000 persone avevano perso la vita in mare. Stando ai dati FRONTEX, il 25% delle attività di salvataggio viene svolto da missioni della società civile, la qual cosa è encomiabile, ma dovremmo sempre tener presente che la vera soluzione  va trovata con le istituzioni politiche.

MOAS è convinta che solo un adeguato sostegno agli imprenditori e alle persone che vivono nei paesi più poveri possa aiutar a smantellare i flussi migratori, eliminandone i fattori scatenanti. Ma per farlo, servono coraggiosi investitori determinati a cogliere questa sfida e cooperare coi governi già attivi in Africa con progetti specifici. Al nostro equipaggio -mentre raccoglie le storie delle persone salvate- viene spesso detto che i migranti non abbandonerebbero il loro paese, se avessero condizioni di vita appropriate, un buon sistema scolastico e lavori decenti.

Per guardare il video della sessione plenaria cliccare qui.