Il 3 Aprile 2017 sono stata invitata presso l’Università Bocconi per spiegare come Christopher e io abbiamo creato MOAS. Due impenditori che hanno deciso di mettersi in gioco in prima persona per agire rispetto all’attuale crisi migratoria e umanitaria considerata la più grave dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

L’incontro dal titolo “Migranti. La sfida dell’incontro in un mondo che cambia volto” si è svolto nell’aula Perego a partire dalle 18 e ha coinvolto vari relatori oltre me: il Prof. Lanfranco Senn, la giornalista Anna Pozzi e il Prof. Camillo Regalia.

La discussione è stata introdotta da Massimiliano Pozzi, del Comitato Studentesco, che si è occupato dell’organizzazione pratica dell’evento stesso e che lo ha promosso personalmente. Poi la parola è passata al Prof. Lanfranco Senn che ha inquadrato il fenomeno da un punto di vista numerico e statistico, facendo un excursus tramite grafici per mostrare come sia mutata la migrazione nel nostro paese. Al di là dei dati, il docente ha invitato tutti i presenti a comprendere questo fenomeno così complesso, evitando di cadere nella trappola delle opinioni predeterminate dal sentito dire che prescindono da verifiche rigorose. E’ infatti necessario sviluppare una profonda consapevolezza di ciò che accade intorno a noi e che deve andare al di là della nostra precezione immediata.

Durante il mio intervento ho fornito alcuni dati relativi agli sbarchi e ai salvataggi, riportando le principali nazionalità salvate dagli equipaggi MOAS, e ho voluto parlare del report curato da Migrant Report nel 2016 sulla situazione disastrosa dei Rohingya in Birmania e nello stato di Rakhine.

Ho raccontato come MOAS sia una ONG nata da una famiglia che, trovandosi casualmente in vacanza per festeggiare dieci anni di successi imprenditoriali sulla rotta migratoria più letale al mondo, ha deciso di non ignorare quella realtà di estrema ingiustizia e sofferenza.

MOAS è nato nel cuore per poi toccare la mente ed infine metter mano al portafoglio. E’ nato in risposta all’appello di Papa Francesco che a Lampedusa chiedeva di evitare la globalizzazione dell’indifferenza: un appello che ho voluto cogliere con mio marito Christopher e nostra figlia Maria Luisa.

La società attuale ha estremamente bisogno di imprenditori che investano in progetti filantropici, che apportino umanità all’economia e che ispirino le proprie azioni ad una moralità condivisa. Il nostro obiettivo pionieristico era reagire alle morti in mare cui lentamente ci si assuefaceva: volevamo spostare l’attenzione dei cittadini e delle altre associazioni umanitarie dai porti di sbarco al mare dove si continuava e si continua a perdere la vita.

Nonostante le oltre 33 mila persone salvate fino a Dicembre 2016 e le 320 assistite nella prima operazione SAR della missione 2017 partita l’1 Aprile, rimane ancora molto da fare.

© UN

La situazione peggiora su tutti i fronti: in Libia dove esistono veri e propri centri di detenzione dove si compioni abusi intollerabili, in mare dove le persone sono ammassate su imbarcazioni sempre più pericolanti, nei paesi di arrivo dove l’accoglienza rimane carente e lacunosa.

Una novità apportata quest’anno ha riguardato la sostituzione dei droni usati nelle missioni precedenti con un aereo in grado di individuare anche quei gommoni solitamente difficili da identificare sulla superficie del mare. Ciò testimonia l’impegno del team MOAS a coniugare filantropia, impegno civile e tecnologia all’avanguardia per salvare vite umane in mare.

Commuovente è stata la testimonianza della giornalista Anna Pozzi, già conosciuta in occasione della mia partecipazione all’evento organizzato da Gariwo al PIME di Milano per la Giornata della Memoria 2017. Il suo intervento si è concentrato sul fenomeno della tratta di persone ridotte in schiavitù, ricordando come nessun paese al mondo possa dirsi libero da questo fenomeno. La tratta di fatto comporta reclutamento, trasporto, trasferimento, minaccia, frode e inganno nei confronti delle sue vittime che, credendo alla promessa di un futuro migliore, si trovano di fatto intrappolate in un incubo. Donne e ragazze entrano nelle maglie della prostituzione passando da prostitute a prostituite.

Mi sono trovata particolarmente d’accordo con la visione del Prof. Camillo Regalia, esperto di Psicologia dei Percorsi migratori, che ha ribadito la necessità di mantenere uno sguardo di speranza ed evitare di considerare migranti e rifugiati solamente come vittime del proprio doloroso passato. Come imprenditori, lo abbiamo sempre evidenziato puntando al capitale umano e cercando di far fiorire i talenti delle persone salvate per contribuire ad una società condivisa. Si tratta infatti di individui estreamente resilienti. Non bisogna concentrarsi solo sulle loro ferite da rimarginare, ma anche sulle loro esigenze ed ambizioni.

In chiusura, si è indagato sul significato della parola integrazione che rappresenta quel ponte indispensabile a tenere insieme il passato e il presente di un individuo e che unisce culture diverse.

Nonostante il termine sia spesso abusato e l’integrazione solo raramente si concretizza positivamente, la scuola e il mondo dell’istruzione sono un luogo privilegiato come testimoniato da una studentessa della Bocconi che ha condiviso  la sua esperienza in maniera accorata.

Il seme piantato in questo incontro è il legame creatosi con gli studenti che spero possa forire in future collaborazioni e sia di esempio per gli imprenditori di domani affinché mettano a disposizione il proprio talento e le proprie risorse per costruire una società più accogliente dove il rispetto dei diritti umani non sia un privilegio di pochi fortunati, ma la normalità per chiunque.

Clicca qui per leggere il report realizzato nel 2016 da MOAS sulla condizione dei Rohingya