Sono da poco rientrata dalla mia ultima permanenza in Bangladesh per supervisionare i progressi della missione MOAS in Sud-Est asiatico mirata ad alleviare l’impatto disastroso dell’attuale ondata migratoria dal Myanmar al Bangladesh, dove fino al 14 Dicembre si sono già riversate oltre 655.000 persone secondo i dati ufficiali dell’Inter Sector Coordination Group.

Negli ultimi 4 anni ho trascorso la maggior parte del tempo lontana da casa, in nave per le missioni SAR, in Bangladesh a fianco dei Rohingya e delle popolazioni locali che ci stanno dando una grande lezione di solidarietà, in varie città del mondo per ampliare gli orizzonti di MOAS e testimoniare il nostro impegno a favore dei più vulnerabili.

Finalmente durante le vacanze natalizie posso riabbracciare mia figlia Maria Luisa e mio marito Christopher. Tornando alla nostra routine familiare, mi vengono in mente le tantissime persone che ho conosciuto a bordo della Phoenix dopo averle salvate in mare, oltre a quelle incontrate in Bangladesh nelle nostre Aid Station dove forniamo assistenza a un numero sempre maggiore di persone. Mi chiedo cosa voglia dire “casa”, cosa significhi “Natale”. Per “casa”, ognuno può dare una risposta diversa: una capanna fatta di plastica e bambù, un palazzo ultramoderno in una capitale, una casa in campagna purché vissuta da persone che si vogliono bene.

Ma cosa significa Natale? Almeno su questo dovremmo essere in grado di dare risposte univoche e coerenti col messaggio di fratellanza, accoglienza, preghiera e solidarietà che sta all’origine di questa celebrazione. Vedere le vetrine cariche di beni materiali, illuminate da mille luci scintillanti, mi ha fatto tornare in mente le imbarcazioni di fortuna che recuperavamo per un soffio dal mare, i campi improvvisati dei Rohingya in fuga dal Myanmar che si sommano ai precedenti esodi e ai locali bengalesi, i visi spauriti di bambini, donne e uomini che hanno sfiorato la morte per salvarsi la vita.

Nell’attesa del miracolo della nascita, sento la responsabilità verso le vite umane che purtroppo sono andate perdute nel mare dell’indifferenza e nel silenzio dell’inazione. Mi domando: quanto vale una vita umana? Possiamo forse darle un prezzo? Possiamo forse farci scoraggiare dai mille ostacoli che si incontrano nella burocrazia per fornire assistenza umanitaria a chi ne ha bisogno?

Natale deve essere ogni giorno: nei nostri gesti, nei nostri sorrisi, nelle mani tese verso i più vulnerabili, nell’incontro coi fratelli sofferenti riviviamo il sacrificio del Figlio di Dio sceso sulla Terra per salvarci. Quest’anno non ho avuto tempo di fare il presepe in casa, ma me lo porto sempre nel cuore, animato dalle persone salvate nel Mediterraneo e nell’Egeo, dai Rohingya di ogni età che ho incontrato, dal piccolo pescatore bengalese che abbiamo salvato dopo che si era ferito. Il mio presepe vive grazie a chi lo rende vivo ogni giorno: il team MOAS, la mia famiglia, la comunità internazionale di donatori e sostenitori che ci garantisce continuo sostegno ed incoraggiamento.

Ricordiamoci gli ultimi, i sofferenti, i poveri e i vulnerabili in queste feste e impediamo alle luci degli addobbi di Natale di adombrare le vere priorità della vita che riguardano, in fondo, la vita stessa e la sua tutela da ciò che la minaccia. Ricordiamoci l’appello di Papa Francesco ad essere cristiani inquieti e a non vivere in bolle di sapone, belle ma fatte di nulle. Ricordiamo che, al di là dei nostri problemi e benché non abbiamo tutto ciò che vorremmo, siamo molto più fortunati di tante altre persone costrette a patire gelo, fame e paura.

Non dimentichiamo chi muore per malattie facilmente curabili nello Yemen, chi sogna la libertà in un campo di detenzione libico, chi cammina nel fango sul sentiero della salvezza fra Myanmar e Bangladesh e chiunque sia in pericolo, ma anche tutti coloro che dedicano la propria vita senza feste o vacanze per rendere questo mondo più accogliente, come i membri del nostro team MOAS.

Qualunque vestito indosseremo non sarà mai bello quanto il sorriso di una madre che mette in salvo i propri figli. Qualunque regalo non varrà mai quanto una medicina data a chi ne ha bisogno.

Facciamo sì che questo sia il Natale del donare: fate una donazione che, per quanto piccola, potrà fare la differenza fra la vita e la morte di una persona innocente e vulnerabile.

Aiutateci ad aiutare!