In occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato vorrei ricordare la storia di Noura che mi sta molto a cuore.

Noura è una ragazza siriana di circa 30 anni che fino al 5 gennaio 2015 viveva con la famiglia in un paese nei pressi di Damasco, insegnava inglese e conduceva una vita “normale”, come quella di tutti noi, fino a quando la guerra non l’ha travolta costringendola ad abbandonare tutto ciò che aveva. Da allora Noura ha cominciato a far parte della comunità dei rifugiati, di coloro i quali sono costretti a fuggire a causa dell’atrocità della guerra, della violenza, della persecuzione, della propria razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a uno specifico gruppo sociale. Quella mattina Noura vedrà per l’ultima volta la sua casa e i suoi affetti e partirà con il padre, la madre e la cognata alla ricerca della salvezza nella speranza di raggiungere il fratello che si trova in Germania. Dopo un viaggio in pullman verso il Libano e un volo aereo per la Turchia, la famiglia affronta la pericolosa traversata del Mediterraneo in uno dei barconi gestito dai trafficanti rischiando di perdere drammaticamente la vita. Lì sarà salvata, insieme ai familiari, dall’equipaggio MOAS, durante una delle nostre missioni SAR nelle acque dell’Egeo, e giungerà in Grecia. Dopo mesi di viaggio, nel febbraio 2016, la famiglia riuscirà finalmente a riunirsi alla stazione di Saarbrücken, in Germania. Nonostante le ferite della sua anima, dopo aver ottenuto l’asilo, Noura ha cominciato, passo dopo passo, a ricostruire la sua vita e a studiare in università.

Finalmente oggi Noura può vivere una vita “normale”, lontana dalle bombe e dalla violenza.

Nel 2019 79,5 milioni di  persone sono state costrette ad abbandonare la propria casa e la propria famiglia e a fuggire dal proprio Paese. 26 milioni di loro sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni, un numero che aumenta di anno in anno dall’inizio del decennio.

Il 68% dei rifugiati proviene da cinque Paesi: Siria (6,6 milioni), Venezuela (3,7 milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud Sudan (2,3 milioni) e Myanmar (1.1 milioni). A unire questi Paesi un unico comune denominatore: la guerra. Il conflitto siriano che continua a sconvolgere la popolazione dal 2011, la guerra civile del Sud Sudan scoppiata nel 2013 e un conflitto ventennale come quello combattuto in Afghanistan dal 2001.

Senza dimenticare tutti gli altri teatri di guerra, dallo Yemen alla Libia. A cosa hanno portato questi conflitti? Una quantità incalcolabile di distruzione e perdite di vite umane.

Decenni di conflitti e persecuzioni hanno lasciato alle proprie spalle macerie, distruzione, feriti, un altissimo numero di vittime e di persone costrette a lasciare tutto ciò che possedevano separandosi, molto spesso, dalle famiglie e dagli affetti più cari.

Grazie al riconoscimento dello status di rifugiato con la Convenzione di Ginevra del 1951 e alla risoluzione 55/76 per l’istituzione della Giornata Internazionale del Rifugiato, il mondo intero il 20 giugno di ogni anno pone l’attenzione su coloro i quali si trovano ad affrontare tali drammatiche situazioni.

Ma l’egoismo dei governi nazionali che caratterizza i giorni nostri fa sì che la protezione delle frontiere venga prima delle vite umane. Nonostante le risoluzioni e gli accordi internazionali oggi i rifugiati sono costretti ad affrontare pericolosissimi viaggi attraverso rotte di fortuna, nelle mani dei trafficanti, mettendo a rischio la propria vita nella speranza di un futuro migliore.

La maggior parte dei rifugiati è composta dagli sfollati interni (IDP: internal displaced people), che si spostano dunque all’interno del loro Paese, un ampio numero trova accoglienza nei Paesi limitrofi a quelli di partenza. La Turchia, la Colombia, il Pakistan e l’Uganda sono tra i Paesi che ospitano il più alto numero di rifugiati.

In proporzione, un numero nettamente inferiore di rifugiati raggiunge l’Europa.

Le previsioni per il futuro, accelerate ulteriormente a seguito della diffusione della pandemia di coronavirus, indicano che un maggior numero di persone sarà costretto ad abbandonare forzatamente la propria Terra e molti di loro tenteranno di attraversare il Mediterraneo.

Oggi, alzando la voce, chiediamo di implementare i canali di ingresso sicuri e legali per i rifugiati. Visti umanitari, visti medici, visti di lavoro e studio, sponsorship private, corridoi umanitari e ricongiungimenti familiari: #VieSicureELegali che permetterebbero alle persone vulnerabili e rifugiate di raggiungere in sicurezza il Paese ospitante. Nessuno dovrebbe rischiare la propria vita in cerca della salvezza. Nessuna giovane donna come Noura, e nessuna persona vittima innocente della snaturata crudeltà della guerra, dovrebbe essere costretta a mettere la propria vita in mano ai trafficanti di uomini per il fondamentale diritto alla vita.

La Giornata Internazionale del Rifugiato di quest’anno, arrivata dopo mesi di lockdown e con la perdita, in tutto il mondo, di oltre 400.000 persone, ci induce a riflettere sulla fragilità delle nostre vite e sulla possibilità di perdere inaspettatamente la nostra routine quotidiana, proprio come è successo a Noura.

Questa pandemia, però, ci ha anche dimostrato, soprattutto nei campi profughi, che la solidarietà internazionale può essere fondamentale per la nostra sopravvivenza e che la cooperazione e l’unione delle nostre energie possono contribuire a creare un mondo migliore.