Dopo sei lunghi anni, molti dei quali trascorsi in condizioni disumane e degradanti, finalmente Behrouz Boochani, lo scrittore curdo-iraniano costretto a fuggire dal proprio Paese e detenuto nell’isola carcere australiana di Manus, dove l’Australia gestisce uno dei suoi campi di confinamento per migranti che cercano di raggiungere il Paese via mare, ha ottenuto lo status di rifugiato concesso dalla Nuova Zelanda. Behrouz torna a essere un uomo libero: una notizia che mi rende molto lieta. Ho seguito la sua storia dallo scorso novembre, quando grazie all’ottenimento del Victorian Prize 2019, il più prestigioso premio letterario australiano, per il suo “Nessun amico se non le montagne” edito in Italia da Add Editore, tantissime persone sono venute a conoscenza della sua storia e hanno sostenuto la sua causa. Grazie alla narrazione degli anni trascorsi nel centro di detenzione dell’isola di Manus, frutto di centinaia di messaggi inviati via Whatsapp a Omid Tofighian, l’autore ha fatto conoscere al mondo intero le condizioni dei rifugiati detenuti nell’isola australiana, le violenze e le torture, e ha avviato un’intensa campagna di denuncia delle politiche anti-migratorie. La sua voce diventa bandiera di tante altre persone che, senza il suo talento e senza la possibilità di far sentire la propria voce, rimangono avvolte nel silenzio, come fantasmi in attesa del riconoscimento giuridico dello status di rifugiato. Una luce di speranza per tutti coloro i quali, ancora oggi, sono privati della propria libertà e della propria identità.