Il Bangladesh è un paese a reddito medio-basso con elevati tassi di povertà endemica, malnutrizione e insicurezza alimentare. È diventato indipendente alla fine del dominio inglese nel 1947, quando il Bengala fu suddiviso in Pakistan e India, ma la definizione delle frontiere nazionali non è stata semplice e ha generato conflitti. Il Bangladesh è divenuto veramente indipendente nel Dicembre 1971 dopo la resa e il ritiro delle truppe del Pakistan, tuttavia il paese ha dovuto poi affrontare enormi problemi fra cui il ripristino del sistema di trasporti e comunicazione oltre al commercio internazionale. Altre priorità riguardarono il sistema scolastico e sanitario col rafforzamento dell’agricoltura e della produzione industriale. Tuttavia nel 1974 fu colpito da una carestia che uccise migliaia di persone, mentre l’instabilità politica divenne costante motivo di preoccupazione nonostante siano stati fatti notevoli progressi. La situazione generale peggiorò a causa dell’esodo di massa dei Rohingya durante gli anni 70 e 90: in entrambi i casi oltre 200.000 persone furono costrette a fuggire dal Myanmar e cercare riparo in Bangladesh per sopravvivere alle violenze e alle repressioni soprattutto da parte dell’esercito nazionale.

Nuovi casi di violenze furono denunciati dal 2012 e, fra il 2012 e il 2015, circa 125.000 persone fuggirono per mettersi in salvo, soprattutto via mare dove in molti sono morti a bordo delle cosiddette “imbarcazioni fantasma”. Subito dopo, nel 2016, ci furono nuovi scontri che generarono ondate di violenza diffusa nello Stato di Rhakine dove le donne denunciarono stupri e violenze sessuali, gli uomini furono torturati nelle carceri e di conseguenza circa 100.000 persone divennero sfollate. Fra loro almeno 74.000 persone raggiunsero il Bangladesh.

Una donna coi suoi tre figli presso una MOAS Aid Station per ricevere le cure mediche e l’assistenza necessaria

Questa panoramica sui flussi migratori Rohingya spiega parzialmente la loro triste realtà di popolo perseguitato, sgradito e costantemente respinto, riconoscendo il notevole impegno umanitario del governo e delle comunità locali del Bangladesh nell’accoglierli. Pur essendo un paese povero e costantemente esposto e colpito da disastri naturali, ha aperto le frontiere e il cuore per condividere terra e risorse coi fratelli e sorelle Rohingya in fuga da una vita di violenze e marginalizzazione.

Gli ultimi dati diffusi dal Programma Alimentare Mondiale tratteggiano un’allarmante realtà in cui il 31.5% delle persone vive in povertà e una persona su quattro è vittima di insicurezza alimentare. Lo scorso Settembre, un mese dopo l’inizio dell’esodo dei Rohingya dal Myanmar al Bangladesh, il PAM, che era presente in Bangladesh dal 1974, ha lanciato una piano detto Level 3 Emergency Response per far fronte alle nuove sfide e ai nuovi rischi, al fine di assistere oltre 1 milione di persone. Gli effetti collaterali della povertà endemica e dell’insicurezza alimentare comportano conseguenze sulla salute delle persone in termini di malnutrizione o sottonutrizione o privano i bambini di un’appropriata istruzione, costringendoli a lavorare, a sposarsi precocemente o prostituirsi.

Pertanto, seguendo l’appello di Papa Francesco per supportare i nostri fratelli e sorelle Rohingya che soffrono immensamente, lo scorso Agosto con MOAS abbiamo deciso di sospendere le attività SAR nel Mediterraneo per portare aiuti umanitari e assistenza medica d’urgenza di cui c’è estremo bisogno. Abbiamo sviluppato un modello flessibile e replicabile di unità mediche –dette MOAS Aid Station- e basato su un’attenta valutazione dei campi profughi e degli insediamenti di fortuna per poter fornire le migliori cure possibili. La prima MOAS Aid Station è stata aperta il 14 Ottobre a Shamlapur durante la mia prima visita sul campo per monitorare gli sviluppi della nostra missione in Sud-Est Asiatico, mentre la seconda è stata lanciata un mese dopo, il 10 Novembre a Unchiprang.

Come ribadito dal Deputy Country Director del PAM in Bangladesh, Dipayan Bhattacharyya, “Arrivano con gravi carenze alimentari e spesso non si sono alimentati regolarmente per oltre un mese”. Ciò spiega come mai la fila davanti la nostra Aid Station a Shamlapur sia ogni giorno più lunga: solo nella prima settimana siamo riusciti a curare ed assistere oltre 1500 persone, il cui processo di guarigione è stato costantemente monitorato, e manteniamo una media di 300 visite al giorno in ogni Aid Station. Il nostro obiettivo è quello di raggiungere un numero sempre maggiore di persone che hanno bisogno di aiuto con la nostra Aid Station di Unchiprang e aiutare le altre ONG presenti sul territorio le cui strutture sono al limite delle capacità. La maggior parte delle patologie sono causate dalle terribili ed insalubri condizioni dei campi dove mancano adeguate strutture sanitarie, aumentando così il rischio di malattie a vettore idrico. Per questo motivo giornalmente sensibilizziamo sui rischi per la salute e evitiamo che la malnutrizione dilaghi.

Infine, MOAS è presente per portare speranza e consolazione: non curiamo soltanto i loro corpi, ma ci prendiamo cura delle loro anime. Dimostriamo loro amore e solidarietà e apriamo le porte delle nostre Aid Station a tutti. Rohingya e bengalesi sono i benvenuti nelle strutture MOAS e garantiamo a tutti le migliori cure possibili. Crediamo, infatti, che le persone abbiano dei diritti umani universali che non devono mai essere violati e che solidarietà, misericordia e fratellanza non hanno frontiere.

La nostra Aid Station a Unchiprang