Oltre 520mila bambini Rohingya vivono attualmente in campi sovraffollati con condizioni igieniche precarie o in accampamenti improvvisati nell’area di Cox’s Bazar e sono pertanto esposti a gravi minacce vista l’imminente stagione caratterizzata da monsoni e cicloni. La situazione in Bangladesh attualmente è molto fragile e può trasformare un disastro naturale in una catastrofe umanitaria e ambientale le cui conseguenze sono difficili da prevedere. Lo scorso ottobre, l’UNICEF ha lanciato un appello alla comunità internazionale per concentrare attenzione e risorse al fine di evitare le conseguenze più atroci in termini di decessi e salute umana, mentre tutte le realtà sul campo sono impegnate in una corsa contro il tempo per adattarsi alle nuove esigenze.

Attualmente sono le questioni legate a salute, generi alimentari e alloggi a destare maggiore preoccupazione e siamo tutti ben consapevoli che le piogge in un’area geograficamente depressa possono degenerare in una vera e propria catastrofe: dopo l’arrivo di moltissimi rifugiati Rohingya perseguitati, hanno costruito la maggior parte delle abitazioni da soli per poter ospitare il maggior numero di persone possibile. Adesso, gli arrivi sono rallentati e, con la stagione monsonica alle porte, è necessario mobilitarsi per limitare i danni futuri. Rispetto alle abitazioni, servono materiali più solidi ed è fondamentale, inoltre, informare le famiglie su dove riposizionare le proprie case e aiutare a costruire, a scavare canali per il drenaggio e a far fuoriuscire il fumo proveniente dai fuochi domestici.

La tratta di esseri umani è un altro motivo di preoccupazione. Come sottolineato lo scorso novembre, dalle prime fasi dell’esodo Rohingya in Bangladesh ho messo in guardia contro i rischi legati alle condizioni di vita nei campi sovraffollati per coloro che non hanno altro che la speranza di sopravvivere. Donne e bambini costituiscono circa metà della popolazione di rifugiati a livello mondiale e la comunità perseguitata e sfollata Rohingya non fa eccezione in questo senso.

Lo scorso maggio, il ciclone MORA ha gravemente danneggiato il Bangladesh e ad un primo conteggio erano stati documentati 6 decessi e 136 feriti nell’area di Cox’s Bazar e Chittagong dove vivevano circa 10milioni di persone. Inoltre, fonti governative hanno documentato che oltre 50mila abitazioni sono state distrutte e almeno 260mila persone sono rimaste sfollate senza un riparo. In quest’occasione i rifugiati Rohingya hanno perso abitazioni, cibo, carburante e aree per cucinare, pertanto adesso si cerca di prevenire situazioni simili. Il mio principale timore a nome di tutto il team MOAS è che ancora una volta le persone più vulnerabili saranno le principali vittime e chi merita attenzione e protezione pagherà il prezzo più alto a causa della propria debolezza. Dobbiamo infatti considerare che, visto l’esodo in massa dei profughi Rohingya nei mesi scorsi, la maggior parte delle abitazioni sono state costruite tagliando alberi visto che mancava lo spazio per sistemare così tante persone. Ciò però implica degrado del suolo, deforestazione di alcune aree e più alto rischio di frane che possono rivelarsi fatali per un ampio numero di persone, se consideriamo gli ultimi dati diffusi dall’Inter Sector Coordination Group. In totale gli arrivi ammontano a 688mila di cui 585mila vivono solo nell’area di espansione di Kutupalong-Balukhali (denominata Kutupalong-Balukhali Extension Site), mentre 237mila vivono altrove e 79mila si trovano all’interno delle comunità.

Come riusciremo a raggiungere chiunque ne abbia bisogno quando il trasporto verrà ostacolato dalle condizioni climatiche e le piogge intense distruggeranno strade e ponti? Come riusciremo a dare assistenza medica dove maggiormente necessario in uno scenario catastrofico?

Con MOAS stiamo intensificando meeting e coordinamento per poter gestire meglio le attività sul campo con le altre ONG e realtà impegnate a mitigare il potenziale impatto della prossima stagione delle piogge. Speriamo di raggiungere più persone possibile per fornire cure ed assistenza medica di qualità. Dall’apertura della nostra prima Aid Station a Shamlapur abbiamo assistito oltre 36mila bambini, donne e uomini che avevano bisogno di cure mediche e assistenza umanitaria. Inoltre, siamo felici che il personale MOAS partecipi durante le campagne di vaccinazione sotto la guida del Ministero della Sanità bengalese e in coordinamento con l’OMS per proteggere le persone da malattie trasmissibili e a vettore idrico.